I BORSISTI DEL MARIO NEGRI

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L’istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” è un ente “morale” no profit per la ricerca, la formazione e l’informazione sulle scienze biomediche al servizio dell’ammalato. Tuttavia, analizzando tutto ciò che riguarda la gestione dei ricercatori che si formano all’interno dell’istituto si scopre che di “morale” c’è ben poco. Facendo un bilancio dei diritti e doveri dei ricercatori si nota che questi ultimi hanno tutti i diritti degli studenti (in pratica nessuno) ma hanno anche tutti i doveri di un lavoratore subordinato a tutti gli effetti.

Al primo colloquio di lavoro presso la nuova sede dell’istituto MN, costata 80 milioni di euro, si rimane certamente colpiti dal pavimento in marmo e dall’ascensore “trasparente”. Viene garantita una formazione di qualità a fronte di una misera borsa di studio di 750 euro al mese. Chi intende diventare ricercatore presso l’istituto MN deve superare una selezione per titoli che prevede:

  • voto di laurea >99/110,
  • laurea in una disciplina scientifica,

che permette di accedere ad un test di cultura scientifica generale che, una volta superato, permette di accedere ai colloqui orali. Superati questi step si viene inseriti all’interno dei laboratori per svolgere la “Scuola di Formazione in Ricerca Biomedica”, della durata di 3 anni. E’ previsto anche il corso per “Tecnici per la Ricerca Biomedica” (sempre di durata triennale), a cui possono partecipare i diplomati dopo aver superato le relative selezioni. Il diploma rilasciato alla fine del percorso formativo ha validità all’interno della Regione Lombardia.

Nel febbraio 2010 viene introdotto il badge per tutti quelli che lavorano in Istituto, questo dispositivo viene giustificato come fondamentale per la sicurezza. E’ uno strumento utile per noi ricercatori perchè in questo modo possiamo essere sicuri di svolgere effettivamente il monte ore totale che dobbiamo fare all’interno della struttura. Sono 40 le ore minime effettive alla settimana che ci vengono richieste e la pausa pranzo è calcolata di un’ora (non conteggiata nelle 40 ore); in questo modo risulta impossibile, ad esempio, poter fare mezz’ora di pausa pranzo e uscire mezz’ora prima dall’orario consueto. Il badge si rivela quindi ben presto uno strumento di controllo che i vertici dell’Istituto usano per monitorare l’attività dei ricercatori. Gli orari di entrata e uscita vengono puntualmente controllati dall’amministrazione che non esita ad avvisare i capi laboratorio nel caso in cui i ricercatori facciano meno ore di quanto loro hanno imposto di fare. Tali richiami avvengono anche nel caso di pochi minuti in meno a settimana. Inoltre, per esigenze di bilancio, le ferie devono essere interamente svolte durante il mese di agosto, periodo in cui il centro chiude durante le 2 settimane centrali, senza la possibilità da parte dei ricercatori di usufruire del periodo di riposo in periodi dell’anno decisamente più economici per poter andare eventualmente in viaggio.

Leggendo il netto della busta paga a fine mese non stupisce il fatto che il direttorissimo abbia trovato i soldi per la nuova sede come non stupisce il fatto che i ricercatori all’interno dell’istituto siano demotivati e stressati. 750 euro al mese per persone laureate a cui viene richiesto di svolgere 40 ore di lavoro effettivo alla settimana (escludendo quindi la possibilità di svolgere altre attività per arrotondare la misera borsa) senza che vengano riconosciuti quelli che sono i fondamentali diritti dei lavoratori; malattia, maternità, pagamento dei contributi, possibilità di decidere quando usufruire del 50% delle ferie e uno stipendio dignitoso sono semplicemente utopie per chi fa ricerca al MN. Formalmente non si potrebbe parlare di lavoro perchè non è stato proposto nessun contratto. Il ricercatore che intende lavorare al “Mario Negri” deve firmare un pezzo di carta dove c’è scritto che gli è stata assegnata una “borsa di studio”, subito dopo gli viene assegnato il badge (la social card dei borsisti) e gli vengono tramandate oralmente le “regole” che governano l’istituto. Una di queste regole riguarda i permessi per entrare in ritardo rispetto all’ora usuale o uscire prima rispetto al solito. In caso di assenza per motivi di salute è richiesto anche il certificato medico (non si sa per quale scopo) e chi ha la residenza lontano da Milano si trova nell’impossibilità di poter ottenere tale documento.

Giusto per la cronaca, i ricercatori di cui stiamo parlando, lavorano senza soluzione di continuità da circa tre anni. Questa breve storia ci permette di svolgere alcune considerazioni che riguardano più in generale i lavoratori della conoscenza. Molti sono abituati a pensare (erroneamente) che il problema che affligge la ricerca in Italia, e più in generale i lavoratori della conoscenza, riguardi esclusivamente l’ambiente universitario, ma come emerge da questo breve racconto è evidente come il meccanismo di precarizzazione di questi lavoratori sia identico indipendentemente che ci si trovi davanti ad un ente pubblico piuttosto che privato.

Il meccanismo è sempre lo stesso. Il rapporto contrattuale che contraddistingue il lavoratore, la lavoratrice della conoscenza si presta particolarmente al rapporto individuale di lavoro. In un certo senso, esso rappresenta l’emblema, il paradigma, dell’individualismo contrattuale contemporaneo. Nella realtà, esso si manifesta in una estrema variabilità di contratti ad personam, rapporti atipici individuali, forme di collaborazione singola. Perfino in un contesto collettivo di lavoro, si traduce, sempre più diffusamente, in meccanismi di contrattazione individuale, tramite superminimi, incentivi individuali, premi individuali di produttività. La lavoratrice, il lavoratore della conoscenza, a causa di questi meccanismi, vive una delle condizioni lavorative più soggette alla legge del ricatto e consenso. Il ricatto deriva dal rapporto individuale di lavoro che, nella solitudine, tracima spesso in precarietà occupazionale e quindi in precarietà di reddito e delle prospettive di vita/esistenziali. Il consenso si genera perché la sfera lavorativa individuale si basa su una doppia illusione: quella di potersi esprimere liberamente, riconoscendosi nel proprio lavoro, e quella che prima o poi le proprie capacità e il proprio talento verranno riconosciute e valorizzate. La lavoratrice e il lavoratore della conoscenza stanno dunque tra l’illusione della realizzazione e del successo personali e la miseria reale della svalorizzazione del proprio lavoro.

 

Informazioni su Ricercatori Mario Negri

incazzeto!!!!!!
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